La moda ai tempi del coronavirus: come la pandemia ha stravolto un’industria

Era la fine di febbraio quando anche in Italia si è sentito parlare concretamente per la prima volta dell’emergenza COVID19, un virus ancora sconosciuto che già in Cina aveva sconvolto un’intera nazione. Da quella data così memorabile la vita degli italiani è gradualmente ma drasticamente cambiata: chi da un momento all’altro ha dovuto abbandonare il lavoro d’ufficio per spostarsi sullo smart working casalingo, chi si è ritrovato alle prese con uno stile di vita del tutto nuovo e chi ancora ha dovuto rinunciare all’affetto dei famigliari perché divisi da confini geografici. Fin dai primi di marzo tante sono state le industrie e le attività commerciali forzate ad abbassare le saracinesche in virtù del #iorestoacasa, un nuovo modo di vivere le giornate considerato come l’unica arma vincente per fronteggiare insieme l’emergenza del contagio.

Ma in tutto ciò questa pandemia che effetto ha avuto sulla moda?

Il settore fashion è uno dei fiori all’occhiello dell’economia italiana e l’imposizione della chiusura ha causato miliardi di perdite e danni alle aziende più importanti così come ai singoli artigiani. Se nel Belpaese il lockdown è arrivato solo ai primi di marzo, nelle provincie cinesi l’aria di crisi e di sconforto per il blocco totale si respirava già dall’inizio del nuovo anno.

Primi segnali dalla Cina

Confermata come una delle più grandi potenze economiche a livello mondiale, la Cina è leader indiscussa di quasi tutti i settori di produzione, quello della moda in primis. Dai più celebri colossi di fast fashion (H&M o il gruppo Inditex, giusto per citarne un paio) fino ad arrivare a rinomati stilisti, la filiera produttiva non può che passare dalle aziende cinesi, dove i costi del tessile, della manifattura e del lavoro in generale è decisamente inferiore rispetto agli standard occidentali. Ma con la repentina chiusura delle fabbrica tutto questo processo è stato inevitabilmente interrotto: i marchi europei hanno quindi dovuto studiare un piano d’allarme improvviso, non sempre conveniente a loro, per poter combattere contro l’emergenza e riuscire a portare a termine le loro collezioni. L’effetto del coronavirus però è incessante, ed ecco che dopo poco più di un mese anche in Italia arriva un nuovo decreto legge, che impone la chiusura di tutte le fabbriche anche nel nostro territorio. Che fare quindi? Con il blocco totale delle attività produttive il mercato della moda cade letteralmente in ginocchio, ed è difficile anche solo immaginarsi una ripresa.

Calendario di fashion show e fiere rivisitato completamente

Una Settimana della Moda anomala quella che si è svolta alla fine di febbraio. Un po’ per l’assenza di buyer cinesi, che da sempre ricoprono un ruolo di punta nel panorama della moda italiano, ma anche per la scoperta del primo caso di contagio in Lombardia il 21 febbraio, nel pieno svolgimento dell’evento. Inutile dire che l’atmosfera che poteva che essere pervasa da diffidenza, insicurezza e tanta, tanta inquietudine. Dal canto loro alcuni tra i più importanti imprenditori del fashion system (vedi Giorgio Armani) hanno deciso di annullare le loro sfilate dal vivo promuovendo una nuova versione del tutto online e digitalizzata. Successivamente numerosi altri stilisti hanno intuito l’emergenza della situazione e hanno così a loro volta optato per una presentazione delle nuove collezioni visibile solo dal web, in modo che anche la Cina, già in pieno lockdown, vi potesse assistere, grazie anche al progetto “China, we are with you”.

La conseguente reazione a catena è giunta solo qualche settimana dopo: la Camera Nazionale della Moda Italiana ha fatto slittare le sfilate di giugno a settembre, in concomitanza con la Settimana della Moda e anche la Fédération de la Haute Couture et de la Mode francese ha deciso di annullare le presentazioni previste nella capitale a luglio.

A risentire di questa oltraggiosa ondata però sono anche i saloni e le fiere di settore. Il tanto atteso appuntamento milanese del Salone del Mobile e del Fuorisalone, che si dovevano tenere in Aprile, sono stati inizialmente riprogrammati a giugno per poi essere definitivamente annullati. Stesso discorso vale per le numerose fiere del tessile o delle tendenze, tra le quali spiccano Milano Unica o il Pitti, costrette anche loro a ripianificare le tempistiche e riformulare il calendario.

Dopo il successo del progetto “China, we are with you” di febbraio, a luglio si svolgerà la prima Milan Digital Fashion Week indetta dalla Camera Nazionale della Moda Italiana per promuovere le collezioni uomo e donna che non hanno potuto sfilare secondo i tempi previsti.

Sarà la fine dei fashion show dal vivo e l’inizio di una nuova era solo digitale?

Chiusura dei negozi in tutto il territorio italiano

Una delle prime e inevitabili conseguenze è la chiusura di tutti i negozi al dettaglio, che in Italia avviene già dal 12 marzo. Addio quindi alle belle vetrine che proprio in quel periodo stavano iniziando a colorarsi con le nuove uscite primaverili, e al desiderio di comprarsi quell’elegante abito nuovo che chissà quando si sarebbe potuto indossare. Ma in quel preciso momento a soffrirne maggiormente non sono stati tanto i cittadini comuni che hanno dovuto accantonare la loro voglia di shopping, quanto i commercianti. Proprio loro, che avevano investito parte del budget negli acquisti per la stagione primavera/ estate, ora vedono sfumarsi tutte le possibilità di guadagno.

Tanta paura, infiniti dubbi e nessuna certezza: come andrà a finire? Questa sembra l’unica domanda ridondante nelle menti di ogni italiano. Anche dall’estero purtroppo il feedback non è dei più positivi: i numerosi buyer abituati a comprare in Italia, hanno rinunciato agli acquisti o addirittura annullato gli ordini già emessi. Così facendo sia aziende che negozi si ritrovano con i magazzini strabordanti di merce invenduta consapevoli che, qualora non ci fosse una riapertura in tempi brevi, tutti i loro investimenti saranno andati perduti per sempre.

La moda italiana però non si arrende e cerca in tutti i modi di rialzarsi, trovando strategie differenti per adattarsi alla nuova situazione. In molti hanno provato ad organizzarsi con la vendita online, considerata la via di shopping del nuovo millennio, proponendo notevoli sconti anche sulle collezioni attuali. Ma l’e-commerce può davvero sostituire i negozi fisici? Indubbiamente non potrà mai essere paragonato al rapporto umano, all’interazione che si stabilisce tra cliente e commerciante così come all’esperienza fisica di godersi una passeggiata tra le vie dello shopping. Dai dati raccolti inoltre emerge che per un italiano non ha particolarmente senso investire soldi in acquisti d’abbigliamento: con l’obbligo di rimanere in casa a chi verrebbe voglia di comprarsi qualcosa di nuovo?

Da non trascurare poi l’importanza di tutto il sistema logistico, in parte anch’esso messo a dura prova dalla pandemia. Magazzini con orari dimezzati e personale ridotto, ordini da smaltire, consegne rallentate e spese di trasporto molto più ingenti, sono solo alcuni dei problemi ai quali la logistica viene inaspettatamente sottoposta.

A sentire maggiormente il peso della situazione sono soprattutto le piccole boutique o i negozi indipendenti che, per mancanza di incassi e avendo i magazzini pieni di merce invenduta, si son visti costretti a rinunciare agli ordini per la stagione futura. È risaputo però che la moda sia un fenomeno stagionale e con l’assenza di una collezione autunno/ inverno presente nei negozi le prospettive per il futuro non sono di certo tra le più rosee.

Cassa integrazione e licenziamenti: la parola dei lavoratori

Non solo titolari e dirigenti d’impresa, anche i lavoratori dipendenti vengono messi a dura prova dall’emergenza COVID19. Passa poco tempo dalla chiusura delle attività che in molti si ritrovano in cassa integrazione, ma più i giorni passano e meno la situazione migliora, così molte aziende devono licenziare parte del personale perché, a fronte della crisi improvvisa, non son più in grado di sostenere i costi per pagare gli stipendi dei loro dipendenti.

A suscitare scalpore è stata anche la decisione da parte del colosso di fast fashion H&M che in Italia ha chiuso ben 8 punti vendita, tra i quali i due storici di Milano in via Torino e Corso Buenos Aires. Anche i lavoratori autonomi e i freelancer però non se la passano meglio: per molti di loro il lockdown ha significato la perdita del lavoro e, non avendo un’azienda alle spalle che possa garantire un minimo di certezza, le preoccupazioni per il futuro sono all’ordine del giorno. Per non parlare poi degli stilisti emergenti o dei giovani creativi, che proprio ora stavano cercando di farsi strada nel mondo del lavoro. Alcune ricerche affermano che per loro la ripresa nel settore della moda potrebbe avvenire tra parecchi mesi, ma un’altra prospettiva che affiora, ben meno piacevole ma purtroppo realistica, è quella di una mancata riapertura.

La moda non si arrende: la reazione dei marchi e delle aziende

Da questa prima descrizione sembrerebbe proprio che la pandemia non porterà a nulla di positivo. Determinare quindi la fine assoluta di un capitale così importante come quello della moda? No, nessuno vuole crederci e i brand non si arrendono facilmente. Una delle principali peculiarità di questo settore e di chi ci opera dall’interno è proprio la resilienza, ovvero la capacità di contrastare i momenti di crisi in maniera ottimistica, adeguandosi alle esigenze che il nuovo stile di vita richiede. L’esempio lampante arriva dalle principali aziende leader del sistema che, dopo aver interrotto la produzione delle loro collezioni, convertono i dipartimenti tessili nella fabbricazione di mascherine, camici e guanti protettivi. Ma non è solo questa improvvisa riconversione l’unico gesto benefico: i marchi di moda, gli stilisti, così come anche le celebrities e gli influencer si adoperano subito per far fronte all’emergenza con donazioni agli ospedali più colpiti e a tutto il sistema sanitario nazionale.

I brand cambiano volto e si adeguano al nuovo lifestyle

La situazione di pandemia, fino ad ora sconosciuta, ha portato i cittadini di tutto il mondo a porsi domande esistenziali, forse trascurate troppo a lungo in precedenza. Cosa è davvero necessario e cosa invece non lo è? Inoltre, quali sono i veri valori da tenere in considerazione? Questi interrogativi sono stati innanzitutto intesi su larga scala, rivalutando la salute, gli affetti e i casi di estrema necessità, ma è poi stata applicata anche a tutto ciò che riguarda i consumi per così dire secondari, come l’abbigliamento e gli accessori. Se per mesi la gente comune ha trascorso la propria quotidianità indossando tute e pigiami, con la graduale riapertura dei negozi al dettaglio la voglia è sicuramente quella di concedersi qualche ora di shopping, anche se non nel modo in cui erano abituati. Come cambieranno infatti i consumi nell’epoca post-Coronavirus? Impossibile stabilirlo ora, ancora troppo presto, ma una questione appare già certa: negli italiani si è instaurata una nuova scala di valori, che non vede più il futile tra le priorità ma che punta tutto sull’acquisto di prodotti mirati, spesso artigianali e a favore di un benessere fisico. E se questa è la richiesta, i brand di moda non possono che assecondarla e dar finalmente vita a una nuova riorganizzazione della filiera che si svolgerà in maniera più sostenibile e a ridotto impatto ambientale.

Per diffondere e promuovere questa nuova filosofia, la pubblicità insieme alle campagne di marketing e comunicazione giocano il ruolo di punta. Alcuni marchi hanno già intuito che in questi tempi la necessità non è tanto quella di sponsorizzare nuovi prodotti quanto quella di divulgare un messaggio sull’insieme di valori che li rappresenta. I clienti quindi non saranno più attratti da un paio di scarpe alla moda o da un abito all’ultimo grido ma indirizzeranno i loro acquisti verso scelte sostenibili che possano garantir loro l’ottima qualità dei prodotti e una maggiore durata nel tempo.

Un cambiamento decisamente drastico che ha sconvolto e continuerà a influenzare lo stile di vita di intere generazioni. Dai momenti di crisi però nascono sempre anche conseguenze positive e un grande ritorno al Made in Italy potrebbe rivelarsi una delle armi vincenti che potrebbe risollevare e dar nuova vita all’intramontabile impero della moda italiana.